lunedì 24 ottobre 2022

Tinder VS Vinted: scatta, descrivi, vendi

La tendenza al riciclo e alla limitazione dell'inquinamento ha investito la nostra quotidianità, anche digitale: piattaforme per evitare lo spreco alimentare, per promuovere il car sharing o per vendere vestiti usati, come Vinted. In questo clima di risparmio (perfino emotivo), le conoscenze  passano attraverso le app, Tinder fra tutte. Il sistema è sempre quello: swipe a destra, mi piaci; swipe a sinistra, ti butto nel burrone; swipe in alto, il pericolosissimo super like.

Sempre di usato parliamo, care le mie utenti di Vinted e Tinder.  Certo, specificare le condizioni degli articoli anche su Tinder sarebbe utile: discrete (i delusi da Cupido che affogano nel rancore), buone (in ripresa dopo una rottura, mediamente speranzosi), ottime (hanno recentemente terminato con la psicoterapia e vogliono testare quanto appreso), nuovo senza cartellino (single da poco, dopo una storia di 19 anni), nuovo con cartellino (mai avuta una relazione che abbia superato con successo i 13 giorni).

Così come Vinted, Tinder ci permette di scegliere gli articoli dalla descrizione. Ecco qualche esempio, purtroppo reale:

  • "Sono un bel ragazzo": ma secondo chi, Mario87? Guarda che l'orsetto lanciacuori che ti mette Zia Piera sotto ogni post di Facebook non è un parametro di autovalutazione attendibile.
  • "Germano, 37 anni": forse volevi scrivere che sei del 1937, o che 37 anni li hai avuti in passato. Verificare che nel curriculum abbia inserito la Campagna d'Etiopia.
  • "Diffidente dopo essere stato mentito": Deluso42, a me dispiace, ma sappi che se questa è la tua frase di presentazione e la tua foto profilo è un piatto di polpette con cavolfiore, forse dobbiamo rivedere il proposito comunicativo.
  • "Non sono ricco (così vediamo se mi scrivete per soldi)": non ti scriverà nessuno, Fabio, stai tranquillo, a meno che non ti contatti l'Agenzia delle Entrate.
  • "Mi piacciono le persone solari": in linea con la transizione energetica, forse cercano pannelli.
  • "Sposato ma vogliono di divertimento, cerco solo quello": scritto così, giuro. Non ho capito la richiesta di Gianni 32, non so come aiutarlo. Credo sia un'anastrofe involontaria.
  • "Sono nato morto": e anche oggi partiamo con leggerezza.
  • "Odio l'ipocrisia, le persone false, non voglio perdere tempo con ragazze cretine senza cervello": la partenza è positiva, dai. Jane Austen avrebbe scritto "Pessimismo e Fastidio" con voi come protagonisti.
  • "Sono una schiavetto leccapiedi, se vuoi che diventi il tuo cagnolino metti like": Spartaco, un cane ce l'ho, ma se la tua richiesta di schiavismo include le pulizie, per te Tinder continua.
  • "181 cm" + inquadratura foto sulle mutande: Rocco, devi stare calmo, ché se fosse vero saresti sistemato tipo liquirizia Haribo.
La lista verrà aggiornata costantemente, è una promessa. O una minaccia.

mercoledì 5 gennaio 2022

Il punteruolo rosso e altre armi di distruzione di massa non vietate ai minori


A volte mi chiedo se noi bambini degli anni Novanta abbiamo frequentato una regolare scuola materna o un campo di addestramento jihadista. Se ripenso agli strumenti mortali che maneggiavamo con totale inconsapevolezza, provo un misto di panico e orgoglio. Abbiamo imparato fin da piccoli a trattare oggetti e materiali pericolosi come i più esperti tecnici nucleari. La vita sarebbe stata dura, lo dovevamo capire subito.

Pensiamo ai lavoretti a tema. Un mese prima della fatidica festività, ci veniva consegnato un punteruolo con cui massacrare un innocente foglio di carta, seguendo un disegno più o meno articolato, a seconda del livello di competenza: cerchio (LEVEL 1: Beginner User), cuore (LEVEL 2: Intermediate User), stella (LEVEL 3: Proficient User). Un punteruolo. Un'arma affilata e letale affidata a quattrenni col moccio al naso. Per salvaguardare il banchetto su cui dovevamo attuare la macumba, veniva messo sotto il foglio un panno di feltro. Non ricordo però che qualcuno ci abbia mai dato dei salvadita o un qualche tipo di protezione, e ancora mi chiedo come abbiamo fatto a non accecare qualche compagnetto, come forma di rancore per una merenda non condivisa. Nessuna ferita di guerra, nessun segno della nostra fedeltà alla Patria di Art Attack. Siamo stati soldati umili e silenziosi, votati a una causa artistica dal discutibile risultato.

Vogliamo parlare della creazione artistica natalizia per eccellenza, la stella di fiammiferi? Il senso, a distanza di oltre trent'anni, mi è ignoto. Una stella ricoperta di fiammiferi su cui si adagiava un bambinello di plastica. Che quando la mostravi a zia Giovannina, fumatrice incallita, ti esplodeva la casa. Brutta, storta, infiammabile: nessuno aveva il coraggio di scalfire la parete per appendere l'esordio artistico dell'infante, quindi quell'oggetto esplosivo restava inerme sulla mensola, pregando di non sfiorare mai una candela.

Maneggiavamo pastelli tossici, bicchieri e piatti di plastica da ritagliare, che diventavano dei coltelli Shogun, DAS con fibra di amianto e cotone idrofilo dal potere soffocante. E siamo sopravvissuti. Magari non benissimo, ma siamo qui.

Oltre ai lavoretti, l'attività più pericolosa resta il finto matrimonio ogni pomeriggio con il compagnetto scelto dalle suore. Le spose-bambine indossavano perfino un asciugamano in testa a mo' di velo. Poi chiediamoci perché ci credevamo al principe azzurro. Bastava un asciugamano. E il punteruolo muto.

lunedì 14 giugno 2021

Signora, fa 2 etti e mezzo: lascio?

Che si tratti di pomodori o bresaola, esiste forse una frase più confortante? Quanta speranza in quell'in più non richiesto, che accettiamo di portare a casa pervasi da travolgente ottimismo! "Non mi serve mezzo etto in più di niente, finirà che andrà a male e lo butterò": questo finale triste non è contemplato, ci lasciamo guidare dalla generosità del salumiere/fruttivendolo e accettiamo con euforia, anche (e soprattutto) per non deludere il pubblico in fila dietro di noi, che agita il proprio numerino di carta. Ma se al posto di pomodori/bresaola ci offrissero mezzo etto in più di coraggio/amore/libertà/fiducia/successo da segnare sul conto aperto della vita, reagiremmo con la stesso slancio fiducioso? Quante offerte imperdibili non abbiamo segnato nel volantino delle occasioni personali, lasciandocele sfuggire e magari pagandole a prezzo pieno la settimana successiva? Quel mezzo etto in più di coraggio/amore/libertà/fiducia/successo che non avevamo segnato nel bigliettino delle cose da comprare è quello che speriamo ci venga proposto al momento di prendere una decisione, di dichiararci a qualcuno, di chiudere una storia opprimente, di cambiare lavoro, di decidere di essere felici. Non solo dovremmo imparare ad accettare quella proposta di prosperità inattesa, ma anche a ordinare ciò di cui abbiamo bisogno al supermercato quotidiano della nostra vita, cercando di non dimenticare la lista sul tavolo: "Quattro etti d'amore, grazie", suggerirebbe Chiara Gamberale (Mondadori, 2013).


mercoledì 7 marzo 2018

I'm a Barbie Girl

Mariel Klayton, Barbie Serial Killer 7
"Ciao, vieni a casa mia a giocare?" "OK, mi porto il Ken". I nostri pomeriggi anni '90 iniziavano tutti così. A casa delle amiche si doveva andare munite di Ken, no excuse.
Io avevo, come tutte, un solo Ken, a dir poco imbarazzante. Si chiamava "Ken Romantico Sogno", ma era più uno spiacevole incubo. Ken attualmente ha una mascagna degna di Trump: 25 anni fa aveva i capelli di plastica di due gialli diversi, in un tentativo zoppicante by Mattel di ricreare un visionario effetto 3D. Nello specifico, il mio indossava uno smoking con la giacca bianca glitterata smanicabile, effetto spogliarellista di periferia. Mia mamma, mossa a compassione, mi comprò un vestitino di ricambio: una tuta da pilota di Formula 1 con casco e calzettoni di spugna. Il mio Ken non aveva alternative casual: o Frank Sinatra o Hamilton.
Di Barbie invece ne avevo tantissime, corredate di decine e decine di vestiti e scarpe, pattini, parrucche e tinte scintillanti per capelli, che neanche una drag queen. La mia Barbie faceva una vita semplice, da donna che non deve chiedere mai: gestiva un negozio di fiori, una boutique Benetton, girava in Ferrari o in Vespa, aveva anche un ufficio di non meglio identificata collocazione aziendale, due cavalli, di cui uno rosa sbrillucicante, assolutamente realistico, una casa in campagna, uno chalet in montagna, una piscina attrezzata e una villa fuori città. Credo avesse conti segreti alle Cayman per evitare di pagare le tasse.
Nel 1991 arrivò sotto l'albero di Natale il sogno di ogni bambina: il camper! Peccato che quello originale costasse troppo e i miei mi avessero comprato quello di Tania, una specie di Subaru Baracca verdolino. Tania, cugina brutta e invidiosa di Barbie, era di dimensioni più piccole, quindi le mie Barbie non potevano guidarlo. Risultato? Guidava Skipper, la cugina oca 14enne.
I nostri pomeriggi si aprivano con la fase della scelta dei nomi dei personaggi, che richiedeva dalle 2 alle 3 ore. Nei restanti 40 minuti facevamo succedere la qualunque, ma Ken rivestiva sempre un ruolo marginale: generalmente aspettava Barbie Imprenditrice a casa (o nello chalet), il mio nello specifico con il casco in testa o a torso nudo con il papillon glitterato. Le amiche di Barbie, Midge e Teresa, in genere la aiutavano a gestire le numerose attività commerciali, accettando situazioni lavorative da ispettorato del lavoro. Midge, soprattutto: me la dimenticavo per giorni dentro il negozio di fiori, senza un goccio d'acqua e asfissiata dalle orchidee. Barbie passava solo a riscuotere l'incasso.
Evasioni fiscali, minori alla guida, tresche alla Forrester, furti di vestiti, estorsioni... Non eravamo bambine: eravamo geni della fiction.

domenica 4 febbraio 2018

La vida es un carnaval

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un post della spassosissima pagina Io e la mia vita (vi prego, seguitela, è un fenomeno), intitolato Io e il carnevale. Come un attimo prima del risveglio da un coma, mi è passata davanti la storia tristissima dei miei carnevali, un tripudio di imbarazzo e inadeguatezza.
Partiamo da una considerazione: negli anni '90 o ti vestivi da dama, o non eri nessuno. Ecco, io non mi sono mai potuta vestire da dama. Non so se mia madre covasse una silenziosa lotta al capitalismo, un senso anticonformista di rivalsa sul pensiero dominante... fatto sta che io non ho mai potuto ballare alle feste con il cerchio di plastica sul fondo del vestito.
Il primo vestito di cui ho memoria è quello di Biancaneve. Ero felice perché avevo il caschetto e mi sentivo intimamente vicina alla mia eroina francescana. Peccato per i baffi.
Poi fu la volta di Burda Style, la rivista tedesca di cartamodelli. Ci siamo passati più o meno tutti: "Mamma quest'anno ti fa il vestito dei tuoi sogni!" Forse per gli amici crucchi la parola "Burda" non ha nessun significato particolare, ma a Cagliari il significato è uno ed uno solo: non sei originale, sei un'imitazione a basso costo. Il mio Burda Style 1992 fu un vestito da ballerina spagnola. Ma nessun bambino alle feste lo capiva così mi limitavo a rispondere: "Sono vestita da sposa rossa". L'abito era stato corredato di una maliziosa mascherina che, unita al baffo ombroso, mi conferiva più che altro l'aria di Zorro.
1994: la scuola organizza una festa a tema Alice nel Paese delle Meraviglie. Io e alcune compagne eravamo state insignite del titolo di Margherita del Prato. Mia mamma si offrì di preparare il mio vestito e pensò bene di ingegnare un copricapo formato da un cerchio a cui unire degli enormi petali di carta velina bianca. Mi cadevano sulla faccia e non vedevo nulla. Le mie compagne avrebbero indossato una deliziosa coroncina di margherite, come delle figlie dei fiori in miniatura. L'invidia mi colse e il Signore mi punì (o mi salvò dalla pubblica gogna) con un'influenza fulminante che mi relegò a casa per tutta la settimana.
L'anno dopo ci fu  la svolta: "Amore, il vestito sceglilo tu!" Non avevo bisogno di pensarci, volevo essere Minnie! Andammo a comprare la tipica stoffa rossa a pois neri. Mio padre ci intimò di tornare subito al negozio e di cambarla "perché lui sua figlia vestita da milanista non l'avrebbe fatta uscire". Fui l'unica Minnie della storia bianconera. Al momento del trucco mia mamma, che non distingue un mascara da un rossetto, decise di farmi dei baffi alternativi, oltre a quelli grauitamente forniti dal corredo genetico, agli angoli della bocca. Sembravo una nutria senza naso.
I travestimenti degli anni delle medie li ho volutamente rimossi. L'ultima tragedia fu quella della seconda superiore: festa a tema "Cantanti del momento". Peschiamo i bigliettini e a me spetta Shania Twain, nello specifico agghindata come nel video di "That don't impress me much", di cui potete vedere una diapositiva al lato. Tutte cosucce facilmente reperibili nell'armadio di una teen-ager. Il risultato fu deprimente: pantaloni in velluto maculati prestati da una vicina, maglione nero e una borsetta a tracolla tigrata. Più che una diva di MTV sembravo uscita dal Mio grosso grasso matrimonio Gipsy.
In questi ultimi anni mi sono vestita raramente, fingendo scarso interesse per la ricorrenza. In realtà mi porto dietro anni di disagio sociale da cartamodello. Chiedetevi perché gli psicologi lavorano così tanto.

martedì 4 aprile 2017

Ciaone Ferradini: come ti rivoluziono il Teorema

Fonte: wikipedia.org
Se pensate che Marco Ferradini sia un buon love-coach, vi sbagliate, cari i miei lettori Y: sarebbe come chiedere al generale Tito di insegnarvi a essere buoni e misericordiosi. La regola tutta Anni 80 del "prendi una donna, trattala male, lascia che ti aspetti per ore, non farti vivo e quando la chiami, fallo come fosse un favore", non vale più. Basta con le spremute di cuore (Ferradini, ma questa come te la sei inventata?): vogliamo fatti. Poche azioni ma portate a termine dignitosamente una per volta, tanto due cose insieme non riuscite geneticamente a farle. Vi faccio un regalo, cuccioli smarriti nell'universo femminile: seguite queste 10 dritte e... vedrai che una donna è già in cerca di te:

1) FATE LA PRIMA MOSSA. Non lasciateci il tempo di inventarci una scusa per chiedervi l'amicizia su FaceBook. Siate intraprendenti, spremetevi le meningi (insieme al cuore) e trovate un caspita di modo per contattarci. Pensate che ai tempi del buon Ferradini si doveva chiedere l'ora per approcciare con l'altro sesso: ora basta un click e diventiamo prematuramente "amici".
2) CORTEGGIATECI. Con questo non chiediamo di trovarvi sotto casa a strimpellare il mandolino accompagnati da un cantante neomelodico di Secondigliano. Stateci dietro ma con moderazione. Per inciso, i fiori ci piacciono.
3) SIATE INTERESSANTI. Fate qualcosa di insolito per attirare la nostra attenzione, iniziate una conversazione brillante che possa farci venire voglia di conoscervi. Grazie ai social ora è tutto più facile e potete reperire in fretta informazioni preziose sui nostri interessi. Ergo, se postiamo foto di animali in cerca di casa, va da sé che abbiamo un debole per le bestioline a quattro zampe: non raccontateci che ieri siete andati a caccia e avete realizzato dei portapenne in pelle di orso perché vi segnaleremo a Zuckerberg
4) RISPONDETE. E' fastidioso non ricevere una risposta a un messaggio. Sempre. Non togliete fuori la scusa del non avere tempo. Ricordatevi che ormai è facile smascherarvi: WhatsApp non è figlio di Maria e ci fa la spia su quando siete online e non state salvando vite in sala operatoria. Si esonera da questo imperativo solo Gino Strada, ovviamente.
5) FATECI DELLE SORPRESE. Ci piacciono un casino. Non vogliamo diamanti né abiti costosi (poi, certo, se optate per questo tipo di investimento, non fingeremo dispiacere). Vogliamo credere che avete pensato a noi anche solo per un minuto della vostra intensissima giornata (ma tutti manager FIAT, 'sti uomini?). Veniteci a trovare fuori dall'ufficio per un caffè, preparateci una torta, comprateci un pacchetto di cingomme, anche del discount vanno bene: con meno di due euro svoltate la serata.
6) NON DETTAGLIATE IL VOSTRO PASSATO. Ai fini del rapporto con noi non è rilevante sapere che belle gambe aveva Tizia, che gnocca fotonica era Caia e tanto meno quanto ridevate con Sempronia. La competizione è donna, così come la scenneggiatura cinematografica: parte il film, è più forte di noi. E vi daremo uno schiaffo nel bel mezzo della cena perché ci siamo immaginate una vacanza alle Seychelles con Sempronia, anche se tutto ciò non è mai accaduto.
7) FATECI SENTIRE SPECIALI. Sappiamo di non essere perfette, ma ricordateci ogni tanto perché state con noi e non con quella capra di Sempronia.
8) COINVOLGETECI NELLA VOSTRA VITA. E vi lasceremo tutto lo spazio di cui avete bisogno. Sembra paradossale, ma è così: se ci coinvolgete in alcune delle attività che prediligete, escluse le gare di rutti al bar, non ci sentiremo minacciate dai territori sconosciuti in cui pascolate da soli.
9) SCRIVETE CON ATTENZIONE. Gli errori di grammatica sono un anticoncezionale infallibile. Se non vi sentite esattamente Mister Treccani, inserite il correttore automatico, così eviterete di scriverci: "Ai li occhi belli, ce da dirlo". Se vi ostinerete a sfidare la nostra pazienza linguistica, la conseguenza sarà una denuncia per istigazione al suicidio... della lingua italiana.
10) ASPETTATECI. Abbiamo paura quanto voi, non stiamo cercando un marito per metter su famiglia. Ma se non insistete almeno un po', convinti di trovare chissà quali opportunità altrove, ci sentiremo di non aver fatto la differenza. E quando ricomparirete fischiettando dopo qualche mese, come vostro solito, punteremo il dito dritto dritto sul tasto "blocca".

Su una cosa però avevi ragione, Marco: non esistono leggi d'amore, basta essere quello che sei. Però se vi sforzate un pochino, male non vi fa.

domenica 15 gennaio 2017

La singletudine delle Numero Uno

Caro Paolo Giordano, perdona la storpiatura del titolo che ti ha reso famoso, ma no, di parlare di solitudine non me la sento. E non sarei onesta: nessuno è meno solo di una donna single. Le donne single sono un po' come la borghesia in piena Rivoluzione francese: la classe emergente che tiene le redini del potere lasciando agli altri la convinzione di farlo.
Sabato sera a cena ho contato le donne single sedute a tavola con me e la domanda lubraniana è sorta spontanea: perché? Belle, intelligenti, socievoli, divertenti... Alcune tra le donne più brillanti e di classe che conosco sono attualmente single (o S.N.E.E.T., che dir si voglia) e fanno una fatica ercoliana a trovare un partner all'altezza.
Secondo un attendibilissimo studio condotto dalla rivista scientifica Sex and the City Journal, "se un uomo ha più di trent'anni ed è single ha qualcosa che non va. È darwiniano: la natura li elimina affinché non propaghino la specie". Quindi se sommiamo questa selezione naturale alla disparità percentuale a livello mondiale, il gioco è presto fatto: non c'è trippa per gatte, donzelle care. Finite le taglie, i colori e i modelli, peggio dei saldi di fine febbraio.
Le amiche impegnate la fanno facile: "Siete troppo selettive! Dovete dare la possibilità ai ragazzi di farsi conoscere!" Riporterò un recente esempio a nostra discolpa (con le dovute correzioni ortografiche, perché c'è anche questa aggravante da considerare). Arriva un SMS da un numero sconosciuto: "Ciao! Tutto confermato per domani: ti aspetto alle 10". Considerando che l'indomani alle 10 non avevo prenotato alcuna seduta dal chiromante né tanto meno avevo appuntamento con George per un Nespresso sotto casa, è chiaro l'errore d'invio, quindi non rispondo. Poco dopo, messaggio su WhatsApp: "Però sono capitato bene: almeno non ho trovato un orso!" Mostro finta cordialità rispondendo laconicamente con l'emoticon dell'orso e lui: "Che vuol dire? Che sono il tuo orsacchiotto?" Io: "Persino il WWF aprirebbe una raccolta fondi per abbatterti". D'accordo, non sono dotata del tatto misericordioso di Madre Teresa, ma fate un po' voi.
Considerato che non viviamo a Manhattan, Samantha adorata, fai in fretta tu a sostenere che "se sei single il mondo è il tuo buffet personale". Mi sa che iniziamo la dieta: la prova costume si avvicina.