domenica 6 novembre 2016

Ogni riccio un capriccio

Metti tre amiche, un sabato sera umidiccio e una voglia gravidica di pasta con i ricci, quella che pervade ogni cagliaritano a partire dalla fine di ottobre.
Perse tra le viuzze del quartiere Marina, io, Viola e Lucrezia decidiamo di fermarci a mangiare un piatto di spaghetti in un ristorantino. Si sta liberando un tavolo e il cameriere ci dice di aspettare. Una volta libero, facciamo per sederci, ma il proprietario si scaglia sopra di noi con la furia di un vichingo: "Chi vi ha detto di sedervi? Questo tavolo è riservato". Rispondiamo che era stato il cameriere ad assegnarcelo. Il proprietario totalitarista risponde che è lui a decidere. Di primo acchito ci sentiamo di scusarci, poi usciamo stizzite dal locale, ovviamente salutando Tina Cipollari e Gianni Sperti seduti lì accanto, anche loro pervasi dalla voglia gravidica di cui sopra.
Ripieghiamo sul ristorantino di fronte, ancora inviperite per quanto accaduto. Innaffiamo i nostri spaghetti e il nostro disappunto con un Torbato brut ghiacciato. E delirio fu.  Non so se ci abbia turbato il Torbato, se sia stato il nervosismo per l'episodio dell'altro locale, se si sia trattato di un effetto collaterale della Tachipirina, fatto sta che da questa spaghettata non ci siamo mai riprese e ancora oggi, a due giorni di distanza, ne accusiamo i postumi.
Viola poggia la forchetta, butta giù un po' di vino e annuncia seria come una inviata di guerra: "Ragazze, io ho molti problemi". Ci prende un po' a ridere nervosamente ma ci accorgiamo che qualcosa non va. Usciamo a prendere aria ma non riusciamo quasi a muoverci. Accusiamo pesantezza alle gambe, senso di vuoto, pensieri disconnessi, torpore... Proviamo a sederci ma la situazione peggiora. Lucrezia tira fuori un pezzo di alluminio con dentro dello zenzero fresco tagliato a julienne. Per un attimo penso che siano gli effetti di questa cena psichedelica e sia convinta di essere Benedetta Parodi, pronta a improvvisare un'insalata new age in mezzo alla strada per un pubblico immaginario. Dice che le serve per digerire e per il momento le credo: mi sembra la più stabile delle tre.
Dopo averci annunciato di avere molti problemi, Viola ci racconta che per digerire, una volta a casa, berrà l'amaro svedese che le ha prescritto un medico (la prossima volta le chiedo il numero di questo medico: sia mai che per la laringite non mi prescriva un mojito al giorno).
Su di me gli spaghetti hanno lasciato danni emotivi permanenti. Mi sento in un mix tra il bambino posseduto del Sesto Senso ("Vedo la gente morta!") e l'eroinomane di Trainspotting. Inizio a pensare che i ricci fossero "tagliati" male. Sono assalita da una malinconia spettrale, una sorta di saudade brasiliana al sapore di mare. Ora capisco cosa prova il tizio della pubblicità che dorme con un cinghiale sullo stomaco.
Ci dirigiamo verso la macchina dopo aver affrontato tutti i grandi temi dell'umanità: il pensiero positivo che inganna l'inconscio, la capacità di assecondare il flusso degli eventi, la limitazione della libertà altrui per un'egoistica affermazione di sé, il controllo sulla semplicità dei pensieri... non è un'uscita di sabato sera: è una riunione di Scientology. Ci salutiamo, sperando di digerire gli spaghetti e la serata. Gli unici ricci che ci concederemo da oggi in poi saranno quelli nei bigodini.

domenica 2 ottobre 2016

Combatti la cellulite con la preghiera!

Fonte: nononsensecosmethic.org
Gli argomenti scottanti si affrontano a mente fredda. Estinta l'ansia da prestazione in bikini, mie fedelissime, possiamo toccare un argomento astioso e irritante come l'ortica. Siamo qui riunite per parlare della nemica numero uno delle donne all over the world, la protagonista degli incubi di primavera e del terrore mediatico estivo: la cellulite, ovvero l'ultimo stralcio di democrazia sulla faccia della terra. Non importa che tu sia ricca o povera, che insegni alla Sorbonne o suoni la chitarra nella metropolitana, che di cognome faccia Kardashian o Brambilla: lei ti troverà.
Premetto, ne ho solo sentito parlare perché io, come voi, care lettrici, ringraziando il santissimo cielo, non ne soffriamo, giusto?
Voglio raccontarvi la personale esperienza di una mia amica, e sottolineo amica. L'amica in questione ha provato di tutto: 

- immergersi nei fanghi come un'esploratrice nelle sabbie mobili;
- sottoporsi a impetuosi massaggi ayurvedici;
- bere linfa di betulla emulsionata con sangue di drago e saliva di mammuth; 
- passare un'ora al giorno per un mese a testa in giù per favorire la circolazione;
- spendere 45.675 euro in creme dai reclamati effetti miracolosi;
- passeggiare nell'acqua a ginocchia alte per dieci estati di fila;
- utilizzare rulli di legno e altri diabolici oggetti sottratti all'Inquisizione spagnola;
- far arieggiare i chakra;
- inghiottire decotti e integratori più o meno legali dagli effetti allucinogeni;
- iscriversi a Scientology;
- nutrirsi in base al gruppo sanguigno, alle rotazioni di Plutone e al calendario cinese;
- acquistare talismani benedetti da Wanna Marchi.
E lei è ancora lì, come la gemella del destino. Ora, mie care, ditemi che cosa sta succedendo. La mia amica sta iniziando a pensare che la cellulite sia un business, una malattia (così la definiscono con tono allarmante in TV) creata ad hoc per spingere la vendita delle trovate ingegneristiche che ogni anno vengono lanciate sul mercato. Sarà il frutto delle scie chimiche? Saranno gli effetti dei cerchi nel grano? O forse la maledizione di Tutankhamon?
Abbandonata l'ipotesi integralista di fingersi musulmana per indossare il burkini, quest'estate la mia amica ha pensato a una soluzione alternativa: abbronzatura selvaggia cammuffante. Con l'ausilio di un acceleratore dell'abbronzatura con un ridicolo SPF 3, giusto per non finire arsa viva come Savonarola, ha raggiunto un colorito tale delle gambe che sembrava indossasse perennemente dei leggings marroni. E in parte ha funzionato: l'effetto memory foam appariva quasi impercettibile.
Ma la mia amica è tenace e creativa. Per l'estate prossima sta organizzando dei gruppi di preghiera notturni in cui si chiederà l'intercessione delle divinità Maya. Perché le donne Maya non avevano di sicuro la cellulite. O comunque non esisteva Mister Somatoline a ricordarglielo. 
Ma a che pro, le dico sempre? Tanto la cellulite, come diceva l'illuminato Oscar Guam, è negli occhi di chi guarda.

giovedì 15 settembre 2016

Les Revenants: a volte ritornano

Non so voi, ma io negli anni ho iniziato a credere ai fantasmi. Proprio quando ti sembra di aver dato degna sepoltura all'uomo di turno, ritrovando la pace e la serenità perdute per mesi, e hai smesso di cantare "amore ritorna, le colline sono in fioreee" guardando l'altarino che hai creato per l'occasione sulla mensola del salone al fine di commemorare il defunto con tutti gli onori... il caro estinto RITORNA. E lo fa all'improvviso, gradito come un teporale durante un barbecue in giardino.
Prendete la serie TV francese Les Revenants (The Returned, nella versione americana): un paesino della provincia francese viene sconvolto dall'improvviso ritorno di alcuni cittadini deceduti anni prima. Ecco: il caso è quello.
Vorrei condividere con voi le modalità della resurrezione via SMS/WhatsApp/Messanger di questi morti viventi. Giuro che le seguenti testimonianze sono vere e verificabili (non me ne vanto: voglio solo garantirvi che non c'è limite alla capacità tutta maschile di essere inopportuni).
Ecco qui la mia personale di lista di revival:
1) L'Amicone: "Ehi, fai una cena e non mi inviti? Monella!"
Per una questione di eleganza, voglio sorvolare sul "monella". Concentriamoci sul resto del messaggio: ma per quale paranormale ragione ti avrei dovuto invitare a una cena che ho organizzato con amici, dal momento che io e te non ci sentiamo da un anno, e non certo per mia volontà, ma per quella di una tale Katiusha? "Aggiungi-un-posto-a-tavola-che-c'è-un-amico-in-più" vale solo alla Caritas.
2) Lo Gnorri: "Ciaooo! Come stai? Spero tutto bene! Un bacione."
No, vabbè: datti fuoco da solo. Vogliamo fare finta che sei sparito per due mesi, declinando ripetuti inviti per un caffè, manco fossi il Segretario di Stato U.S.A.?
3) Il Poeta Ermetico: "Ti penso."
Me lo immagino seduto in una mansarda buia, dietro la finestra che lo ripara da una pioggia battente, solo una candela ormai consumata a rischiarare i pensieri del nostro Ungaretti mancato. Perché mi pensi? Hai finito l'ultima stagione di Game of Thrones e ti stai girando i pollici fissando il muro? Illuminati d'immenso, già che ci sei: datti fuoco pure tu.
4) The Stalking Dead: "Ti ho appena vista passare. Ti stanno benissimo i capelli così."
A parte il contesto inquietante che fa tanto controspionaggio sovietico, che cosa dovrei risponderti, di grazia? Due anni, e dico due anni, di silenzio. Neanche la Farnesina ha saputo dirmi se ti fossi arruolato nella legione straniera o se ti fossi rifatto una vita a Bangkok con una nuova identità. L'unico futuro che ti resta è nel KGB: da svidania.
5) Il Seriale: "Ciao, Francesca. Non puoi mancare alla presentazione del mio nuovo negozio. Ti aspetto!"
Posto che ho denunciato la tua scomparsa settimane fa alla redazione di Chi l'ha visto, che ti ha inserito nei casi nazionali al fianco a Emanuela Orlandi, era proprio per me questo messaggio, giusto? Non è un infido copia-e-incolla, figurati! L'hai scritto apposta per me, perché ci tieni che io ci sia. Peccato che io non mi chiami Francesca.
Resta solo da chiarire perché decidono di tornare dagli inferi. Secondo la mia amica Kamiliala (vedi post dedicato), a scadenza mensile scorrono la rubrica e mettono il dito random sul nome di una malcapitata da ricontattare, un po' come quando scelgono la pizza dal menù.
Quando non sapete cosa fare e avete il telefono in mano, cari casi archiviati, andate a caccia di Pokemon.  Sono sicura che Pikachu avrà tante amiche da presentarvi per rinfrescare la vostra rubrica.

mercoledì 31 agosto 2016

Io ho un'amica Kami-Liala


Ebbene sì, lo confesso davanti all'implacabile pubblico web: io ho un'amica Kami-Liala. Lei ne è consapevole e non è un'attenuante. Immagino i vostri sguardi smarriti... Tranquille, non state brancolando nell'ignoranza lessicale: il termine l'ho coniato io perché nessun aggettivo sulla faccia del De Mauro potrebbe mai rendere giustizia alla tenacia sentimentale della mia splendida amica. 
Analizziamo meglio il termine. Kami sta per kamikaze, non per Kamilla né per qualche altro strano nome slavo. Sì, lei è proprio un kamikaze dell'amore. Avete presente i piloti suicidi giapponesi durante la seconda guerra mondiale? Ecco, lei si lancia a picco sulle storie d'amore con la stessa impavida foga. Non importa come andrà: ci mette sempre in ballo tutta se stessa. Memorie di una Geisha le fa un baffo. 
Badate bene, non è una sprovveduta. La mia amica è una delle persone più brillanti e scaltre che conosco, con tante esperienze di cuore alle spalle da far tremare Rosemund Pilcher. Le tranvate in piena fronte non le sono mancate e, come tutte le donne intelligenti ma single di questa epoca, mette in saccoccia una serie variegata di incontri maschili del terzo tipo (che il Signore misericordioso li fulmini). Nel tempo ha sviluppato un occhio chirurgico per individuare gli uomini sbagliati... delle altre amiche. Per stanare suoi ci sta lavorando.
Che cosa la spinge allora a crederci sempre e mollare mai (Simona Ventura docet), buttandosi a capofitto senza paracadute nelle nuove conoscenze? Qui entra in gioco la seconda parte del neologismo made by me. Si butta perché dentro di lei è immensamente Liala. Ve la ricordate la scrittrice rosa del secolo scorso, autrice di decine e decine di romanzi ad alto tasso glicemico? Liala, al secolo Amalia Liana Negretti Odescalchi (lo pseudonimo glielo attribuì Gabriele D'Annunzio) riempiva gli occhi e il cuore delle romanticone degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, raccontando con penna e sosrpiri sapienti le vicende di struggenti eroine pronte a tutto per amore. I titoli promettevano bene: Io sono tuo, tu sei mia, Passione lontana, Melodia dell'antico amore, e via dicendo, in un tripudio di diabete. 
La mia amica è così: ama i film d'amore perché le proiettano ciò che vorrebbe vivere, legge libri romantici (e non solo) senza mai deprimersi, certa che anche lei prima o poi vivrà la storia più bella del mondo, proprio come gliel'ha proposta Nicolas Sparks. Non fugge, aspetta, esercitando per osmosi la legge di attrazione per progettare un'imminente vie en rose
Se fosse nata negli anni Cinquanta avrebbe girato il mestolo nel brodo della publicità del dado Star (ci tiene a precisarlo), ma è nata nel decennio sbagliato, quindi niente mariti casa e chiesa, "un uomo è per sempre", angeli del focolare e stereotipi vari. 
Forse è proprio questo il segreto: saper aspettare, con la pazienza di un monaco tibetano e la perseveranza di Penelope, che arrivi il cavaliere dal fronte, senza mai fare di tutta l'erba un fascio.
Io sono meno sole-cuore-amore e un fascio lo farei... poi gli darei fuoco per liberare il genere umano da alcuni inutili elementi. 
Ecco perché siamo amiche: se non ascoltassi i suoi consigli ora sarei in carcere per crimini contro l'umanità.

martedì 23 agosto 2016

To SNEET or not to SNEET?

Sentirci parte di un gruppo ci rende esseri umani, è insito nella nostra natura. Ci iscriviamo in palestra o a corsi di cucina (da cui nascono i corrispondenti gruppi su WhatsApp), trascorriamo del tempo con i colleghi di lavoro, partecipiamo alle riunioni di condominio, tutto a riprova di quanto, sotto sotto, pur difendendo il nostro individualismo, siamo animali sociali.
Fin da piccoli sperimentiamo le tappe dell'acettazione e dell'appartenenza, instaurando i primi rapporti interpersonali più o meno gerarchici. Ma da bambini è facile: maschietti e femminucce, grembiuli celesti o grembiuli rosa, pipì in piedi o pipì sedute. Fine della storia. Era guerra a prescindere.
Più si cresce e più le cose si complicano.
Il gruppo di appartenenza più interessante è da sempre quello delle relazioni sentimentali. Le etichette ci assicurano stabilità, sono il nostro biglietto da visita sui social: "Sei fidanzata/o?" è una domanda di rito quando si chatta, una delle prime che ci pone l'interlocutore (mentre sapere se ci piacciono i cincillà, le petunie o se abbiamo mai visitato la Groenlandia non suscita il medesimo interesse, è chiaro). In ogni modo, siamo sempre dentro una relazione, anche se non in modo propriamente convenzionale: si è in coppia aperta/chiusa, friendzone, friends-with-benfits, fidanzamento ufficiale, relazione clandestina, relazione a distanza, conviventi, divorziati
astiosi o in modalità "scurdammoce o' passato", separati in casa, in pausa, e così via, in un crescendo esponenziale di possibilità intricate.
E i "diversamente accoppiati" dove li mettiamo? Se è vero che fino a qualche decennio fa le trentenni non sposate erano considerate delle sfigatissime zitelle destinate al deprimente ruolo di sciatte gattare, oggi la categoria single ha preso il sopravvento su quella degli sposati/fidanzati, in una declinazione tutta nuova, fresca fresca di conio. In un mondo in cui di stabile e duraturo è rimasto solo il salotto di Barbara d'Urso, se sei felice di non avere un partner e non lo stai cercando, non sei a caccia né in flirt, sei un/una SNEET, baby. SNEET è l'acronimo di  Single Not in Engagement, in Expecting, in Toying. 
Essere SNEET presuppone un certo passato burrascoso alle spalle, un accumulo seriale di tranvate amorose da cui Adele potrebbe ricavare materiale per i prossimi sei album. Ciò non significa che gli SNEET siano tristi e sconsolati, tutt'altro: dedicano il loro tempo a migliorare sé stessi, confidando nel ruolo decisivo del destino, senza sprecare energie nella spasmodica ricerca del partner dei sogni. Fanno parte della categoria non solo i cuori infranti, ma anche gli indecisi, i cinici, gli irriducibili, gli eterni Peter Pan, le donne in carriera, gli impegnatissimi, gli asceti e i monaci tibetani, per ovvie ragioni logistiche. 
Gli SNEET non scalpitano capricciosi per andare all'IKEA mano nella mano a scegliere asciugamani ricamati e tazzine a forma di stella marina fissando il partner con gli occhi a cuore, né tanto meno intendono sacrificare un cassetto della loro camera per fare spazio alle calze dell'altro; non vivono la coppia come un obiettivo olimpico da ottenere a ogni costo, per paura del rifiuto della società. Se sei SNEET hai trovato il tuo posto nel mondo (o l'hai accettato con cristiana rassegnazione), il tuo nirvana personale, e risponderai con un sorriso alla vecchia zia impicciona quando, durante il pranzo di Natale, ti chiederà davanti a tutti, con l'impeto punitivo della Santa Inquisizione: "Perché non sei fidanzata, cara? Non hai trovato nessuno che ti vuole?" "Sono una SNEET, ti è chiaro?" (nessuno sguardo rancoroso verso la parente inopportuna: se sei SNEET sei serena e sicura del tuo... forse).
Non importa se dopo due ore starai piangendo accasciata sul divano cantando Caaaaaan't liveeeee col mestolo in mano a mo' di microfono, ripercorrendo le tappe più belle della tua ultima relazione tirata giù dallo sciacquone.
Zietta non lo saprà mai.



giovedì 28 luglio 2016

L'amore ai tempi di Tinder... O era meglio il colera?

Il meraviglioso mondo del Web ha sconvolto letteralmente la nostra prassi comunicativa. In una prospettiva sempre più 2.0, le chat hanno soppiantato le care e interminabili telefonate (rigorosamente dal fisso e con una rivista sotto mano da scarabocchiare nel frattempo) e ancor più gli incontri sotto casa in stile Ragazzi del Muretto.
In principio fu la chat di Tiscali a rivoluzionare le dinamiche dei rapporti interpersonali. Il fenomeno si insidiò suscitando un'immediata curiosità tra i neofiti di Internet, innalzando la prima e indistruttibile cortina di cavi.
 Poi fu la volta di C6, che la X-Generation ricorderà con un sorriso. La ricerca degli interlocutori avveniva tramite una scrematura di base (fascia di età, sesso e provincia). La scelta del nickname rappresentava un passo fondamentale. Se per le ragazze erano inflazionatissimi cucciolina, stellina e occhidolci, io mostravo già il mio approccio ribelle alla vita e scelsi daiquiri, senza averne mai bevuto uno, ma faceva tanto donna-che-non-deve-chiedere-mai. Le conversazioni iniziavano tutte con la medesima scaletta: "Ciao! Da dove dgt?", perché "da dove chiami" ricordava troppo Enrica Bonaccorti e i giochi a premi a Non è la Rai. Poi avveniva la fase foto: il chattatore di turno esordiva con "hai foto?" e tu cercavi appositamente una foto di gruppo in cui le tue amiche sembravano i Ghostbusters dopo un uragano e tu spiccavi per esclusione, con la faccia da "mi piace vincere facile". Lui chiedeva: "Quale sei?". E tu, gallina in progress: "Secondo te?". Quanta ocaggine malcelata. Ma ci faceva sentire grandi. Anche perché ai tempi non c'era il Wi-Fi e in ogni casa le mamme mettevano la scatolina accanto al mastodontico PC in cui inserire la monetina di partecipazione alle spese, tipo offerta a San Virgilio, protettore dell'etere.
C6 fu soppiantato da Msn e Badoo, quest'ultimo già più improntato alla ricerca di liaison e ancora attivo sul mercato del flirt online.
L'aumento epidemico della popolazione single (per scelta personale o altrui) ha causato un proliferare diabolico di chat per incontri come Meetic, Lovepedia, Timcafè e numerose altre.
Sintomatico di una manifesta pigrizia nelle relazioni? Specchio riflesso di una modernissima tendenza a nascondersi? Possibile, e il fenomeno appare solo confermato dall'avvento degli smartphone, grazie ai quali è possibile scaricare delle App da far tremare la Nasa. Due esempi fra tutte: le gettonatissime Tinder e Happn. La prima è un catalogo del maschio disponibile sul mercato, selezionato in seguito a minuziosi controlli di qualità, proprio come un prosciutto di Parma. Avviando l'applicazione, compare una vasta gamma di opzioni M che Tinder ha deciso siano compatibili con te. Mah. Non so neanche se io sono compatibile con me, figurati se l'amico Tinder può sapere con chi dovrò baciarmi sotto il vischio a Capodanno... Davanti alla foto di Mario 34, Luca 27 e Giangi 42 puoi decidere se buttarli nel burrone, continuare a sfogliare Postalmarket o concedergli la grazia del SuperLike. E qui è un casino: parte il dito sul touch screen e ti ritrovi ad aver assegnato il titolo di bello dell'anno a Michele Misseri. App da usare con competenza. Astenersi dita tremanti o presbiti perché poi ti ritrovi a cena con Olindo Romano.
Happn è, se possibile, ancora più inquietante. Oltre al catalogo dell'uomo papabile, hai il rilevatore di posizione: "Hai incrociato Pinuccio 37 sei minuti fa!". Ma dove caspita l'ho incrociato se stavo stendendo le lenzuola in terrazza? E' come essere nel mirino della CIA. Valuti ogni tuo spostamento perché magari Ninetto 56 scopre che vi siete incrociati mentre buttavi l'immondezza e non eri presentabile.
A livello sociologico e antropologico ci sarebbe materiale per un dottorato.



Ci saranno ulteriori evoluzioni nel panorama delle conoscenze virtuali? Forse siamo già arrivati al limite. Ah, no: c'è la caccia al Pokemon. Domani tutte vestite da Jigglypuff così restituiamo al maschio svilito del terzo millennio il suo atavico ruolo di cacciatore.

lunedì 4 luglio 2016

Binexit: lasci o raddoppi?

Ci sono delle situazioni sentimentali da referendum popolare, quelle in cui è necessario dare una svolta allo stallo. Non sai esattamente come sei arrivata a tanto ma ci sei dentro fino al collo, e il limbo non piace a nessuno, nemmeno a Virgilio che risultava residente lì. Vi frequentate da un po' oppure siete solo amici, poco cambia: hai necessità di definire il rapporto ma lui non mostra la stessa impellente necessità. Sappiamo in tutta onestà che si tratta di un'esigenza tutta femminile: ci servono le cornici nei quadri.
REMAIN o EXIT? Se alle urne prevale la prima opzione, bisogna sapere che non sarà facile: si prospetta un cammino di Santiago fatto di continui OMMM meditativi, respiri profondi, rosari, preghiere a Santa Rita e molti Mojito, nella peggiore delle ipotesi. Restare potrebbe voler dire permanere nelle sabbie mobili, in attesa di una svolta che potrebbe rivelarsi quella non gradita. La seconda opzione è decisamente più drastica ma dà immediatamente i suoi frutti.
L'Exit è la quintessenza dello sfinimento. Tenace e speranzosa como Cho-cho San, le hai provate tutte: attesa, pazienza, amicizia, attenzioni, prenditi-il-tempo-che-vuoi-tanto-io-ci-sarò-sempre. Lui continua a brancolare nella nebbia dell'indecisione. Da un momento all'altro ti aspetti il consueto: "Sei troppo per me, il problema sono io!" Ed è proprio lì che bisogna emulare la (politicamente discutibile e forse ingenua) risolutezza britannica: prima di essere asfaltata dagli eventi nefasti, guardalo negli occhi e proclama il tuo più melodrammatico "Maria, io esco!". Saluta Tina Cipollari e Gianni Sperti, che saranno sicuramente seduti nei dintorni, e fai un'uscita di scena col botto. Quando dico col botto non intendo che devi travolgere tutto ciò che occupa il passaggio verso la libertà. Col botto vuol dire con stile, con colpo di tacco finale e scatto energico della testa.
Se vuoi preservare la tua compostezza mentale devi essere brava a svincolarti da tali matasse. In ballo c'è tutta te: il tuo tempo, i tuoi principi, i tuoi sentimenti, la tua energia. A meno che il lui in questione non sia Brad, George, Raoul o Alberto (Angela, non Tomba), chiediti con sincerità se vale la pena aspettare che l'altro guarisca dalla sindrome del dubbio sibillino. In fondo non ti chiami Penelope e tanto meno sai ricamare, ammettilo. Al massimo aspettalo sorseggiando un Cosmopolitan con le tue amiche.
Il saggio e raffinato Piero cantava. "Chi visse sperando morì... non si può dire". Direi che è il caso di tatuarcelo in fronte.

giovedì 23 giugno 2016

Stop allo spot: pubblicità al limite del delirio

La pubblicità è un mondo meraviglioso, compendio cinematografico perfetto dei vizi e delle virtù della nostra società. Esattamente come un film, gli spot pubblicitari suscitano nello spettatore un meccanismo di ipnosi mediatica, un processo psicologico di autoconvincimento che quel prodotto reclamizzato debba essere tuo, costi quel che costi. 
Una cosa è certa: più gli spot sono fastidiosi, più ci invaderanno il cervello, portandoci a ricordare inconsciamente l'oggetto in questione e a cercarlo affannosamente tra gli scaffali dei supermercati. 
Ecco la mia top selection dei momenti pubblicitari più deliranti:
1) Un grande classico. C'è lei, figlia promiscua di madre beffarda. Soffre di un fastidioso prurito INTIMO, ma la vergogna la assale: vai tu a far credere a mammà che quello è un sintomo di cattiva igiene del bagno della scuola! Mamma non ci crede, bella mia, ma è imbarazzata e non fa domande: meglio non sapere perché la pargoletta di casa ha contratto la peste in zona bikini. Grattarsi pare brutto, troppo provinciale? Mamma, donna scafata, ha la soluzione in crema. 
La pausa teatrale tra le parole "prurito" e "intimo" pronunciate dalla figlia finta ingenua è da Oscar. Voto: 7 1/2.

2) Sempre in tema prurito, una new entry. Una signora sta male, si contorce e non riesce a fermare il fastidioso bruciore. Prima di comprare una caspita di crema lenitiva, le prova tutte: si fa addirittura grattare la schiena dal muso di un cavallo. Allora. Io non entro in merito alle scelte di marketing, ma mi chiedo a chi sia venuto in mente di ricreare una scena così perversamente ciccioliniana. Deve essere la cugina  della figlia del prurito intimo. Voto: 6.


3) Da un po' che non la becco, ma sempre deliziosa. Quadretto perfetto: lui, lei due splendidi pargoli. I Piccoli Mostri decidono di portare la colazione a letto ai genitori. Ottima idea, ma perché spiaccicare il pane, ovviamente dalla parte della marmellata, proprio sulle lenzuola immacolate? Poi un solo pezzo, l'altro lo tiene perfettamente in mano: quindi ce la fai, non sei impedito, bambino divertentissimo. E tutti giù a ridere! 
Poi i due flagelli di Dio, Holly e Benji de noartri, decidono di infangare il bagno con il pallone di calcio, sporchi che neanche avessero giocato dentro una fogna. Lei ride, sempre: inizio a pensare sia una paralisi facciale. Non li sgrida, li guarda con approvazione. E' un esperimento sull'educazione dei figli, forse: "i sì che aiutano a crescere". 
Infine, il momento topico dello spot. Lei, ormai dichiarata patrimonio di stupidità dall'UNESCO, versa una fetta di pizza sulla penisola della cucina: un litro di salsa di pomodoro inonda il pavimento: uno scenario da CSI Miami. Ma ce la fai a tenere una caspita di paletta, imbranata? Non siete in barca. Lei ride, poraccia. Lui pulisce con l'invincibile candeggina e si danno il 5: sono una squadra! 
Il finale dello spot è inquietante: la famiglia abbraccia... uno solo dei bambini. L'altro l'hanno ucciso come capro espiatorio? E' stato sciolto nella candeggina? Secondo me sta pulendo. E non ride. Voto: 5+.

4) Non potevo non citarti, querido amor. Che ci fai ancora nel mulino? Rosita ti tiene in ostaggio come l'infermiera premurosa di Misery non deve morire? In questo caso però, chapeau assoluto agli ideatori di questa trovata pubblicitaria. Non importa la scarsa credibilità di Banderas in versione mugnaio: è sexy, piace alle donne e le donne comprano biscotti. Fine. Ha vinto. Che faccia ambigue merendine, pane in cassetta dalle proprietà elastiche o fette biscottate a prova di judo, è figo, sempre e comunque. Uno sguardo, una voce e un'intensità da panico ormonale. Resta lì, Antonito, anzi, se hai bisogno di un sacco di farina, chiamaci. Voto: 10 cum laude.

5) Che dire della stilnovista lettera alle ascelle? Finiti i tempi delle liriche a Beatrice! Mentre Petrarca si pratica da solo un esorcismo nella tomba, le ascelle, sempre bistrattate ed escluse dai trattamenti di bellezza femminili, ritrovano una nuova importanza, un nuovo ruolo nella società. Care ascelle, sentitevi lusingate. Ora siete il centro della meditazione estetica. Altolà al sudore! Ah, no: quella è la concorrenza. Voto: 4.

Che mondo sarebbe senza spot? Immagina, puoi. Perché noi valiamo.

Mi sono fatta decisamente prendere la mano.

venerdì 17 giugno 2016

Bina's Anatomy


Succede sempre così: ogni volta che incappo in una puntata di Grey's Anatomy è un tripudio di lacrime. Non so esattamente che cosa si inneschi a livello corazón, ma di sicuro questa fortunatissima serie arriva a toccare delle corde interiori molto profonde, giocando sull'immedesimazione con i personaggi. Le loro vicende di lavoro e le pene d'amore sembrano infatti  le tue e, volente o nolente, crei una solidarietà mediatica decisamente confortante.

La chiave del successo emotivo di questa celeberrima serie sta anche nella struttura perfetta di ogni episodio, in perfetto stile Sex and the City:
1) la voce fuori campo di Meredith Grey, la protagonista, snocciola una massima sulla vita in cui puntualmente ti riconosci e pensi: "Questa puntata sembra fatta per me!";
2) il plot si evolve incalzante: interventi a cuore aperto, sveltine negli spogliatoi (ma questi non lavorano mai?), il consueto "ti amo ma ti lascio", corna, amori ritrovati/rivelati e vite salvate;
3) la catarsi emotiva: tutto sembra finire male (violini di sottofondo);
4) finale non sempre lieto in senso narrativo;
5) Meredith pensiero.

Non importa se non hai seguito le stagioni in ordine esatto: ti riconoscerai comunque in ognuno dei personaggi, ti sembrerà di tenere il bisturi a Webber o di scherzare nei corridoi con la Robbins.
Ogni personaggio racchiude un piccolo mondo di cui vuoi prepotentemente fare parte. Se solo avessi un camice tra le mani sfonderesti lo schermo e urleresti a Sloan, inforcando lo stetoscopio: "Che cosa abbiamo?" (io a Sloan urlerei ben altro, ma voglio attenermi alla trama).
Ma la vera arma vincente sono, a mio parere, le perle di saggezza snocciolate tra un'appendicectomia e l'altra, con la stessa facilità con cui si ordina un panino al bar. Quelle frasi così toccanti e profonde che ti fanno subito chiedere perché non ci hai pensato tu prima. Aforismi degni di Catullo, adattabili a ogni situazione della vita: soluzioni perfette per ogni dramma quotidiano.
Ho raccolto cinque esempi che hanno ormai costituito il mio vademecum personale, quello da ripetere no stop nei momenti grigi, ma proprio grigi, senza 50 sfumature; quelli in cui Leopardi in confronto è un comico di Zelig e l'unico sottofondo musicale che puoi permetterti è Morte di Isotta di Wagner; quei momenti in cui ti senti vicina più che mai a Tiziano Ferro, Adele e Laura Pausini e vorresti mangiare una pizza con loro, giusto per piangerti un po' addosso, consolata da "veri" amici, accompagnata da una scatola di kleenex e un kilo di Häagen-Dazs (Bridget Jones rulez).
Ecco la mia personale selezione:

1)   “Ogni tempesta ha una sua fine. Una volta che tutti gli alberi sono stati sradicati, una volta che tutte le case sono state demolite, il vento si calmerà, le nuvole se ne andranno, la pioggia si fermerà, il cielo si schiarirà in un istante. E solo allora, in quei momenti di quiete dopo la tempesta, capiamo chi è stato abbastanza forte da sopravvivere.” 

2)  “Certi legami sfidano le distanze, il tempo e la logica. Perché ci sono legami che sono semplicemente destinati a essere.” 

3)   “Cercare le risposte è meglio che farsi le domande, stare svegli è meglio che dormire. Fare una cosa, anche se dovesse rivelarsi il più grande, il più tremendo degli errori, è decisamente meglio del non averci provato.” 

4)  “[…] Ho mentito, ci sono dentro talmente tanto e sono umiliata perché sono qui a supplicarti […] ecco qui, la tua scelta è semplice: lei o me. Io sono sicura che lei è una gran donna, ma, vedi, IO TI AMO in modo veramente incredibile. Cerco di amare i tuoi gusti musicali, ti lascio l’ultimo pezzo di torta, potrei saltare dalla montagna più alta se me lo chiedessi e ciò che è un odiarti mi spinge ad amarti per cui prendi me, scegli me, ama me

5) “Quando diciamo cose tipo "Le persone non cambiano", facciamo impazzire gli scienziati perché il cambiamento è letteralmente l'unica costante di tutta la scienza. L'energia, la materia cambiano continuamente, si trasformano, si fondono, crescono, muoiono. E' il fatto che le persone cerchino di non cambiare che è innaturale. Il modo in cui ci aggrappiamo alle cose come erano, invece di lasciarle essere ciò che sono; il modo in cui ci aggrappiamo a vecchi ricordi, invece di farcene di nuovi; il modo in cui insistiamo nel crede, malgrado tutte le indicazioni scientifiche, che nella vita tutto sia per sempre. Il cambiamento è costante. Come viviamo il cambiamento, questo dipende da noi. Possiamo sentirlo come una morte o possiamo sentirlo come una seconda occasione di vita. Se apriamo le dita, se allentiamo la presa e lasciamo che ci trasporti, possiamo sentirlo come adrenalina pura, come se in ogni momento potessimo avere un'altra occasione di vita, come se in ogni momento potessimo nascere ancora una volta.

Inutile dire che la n°4 sia la più inflazionata. Tutte noi abbiamo sognato di irrompere in casa dell'uomo che amiamo e metterlo alle strette sulla scelta tra noi e la nemica, varcando la soglia con i capelli un po' scompigliati dal vento, il trucco sbavato per le troppe lacrime; guardarlo con l'intensità fiera e selvaggia di Anna Magnani in Roma città aperta e sussurrargli con la voce rotta dalla commozione: "Prendi me, scegli me, ama me". Lui, sensibile come un cancello in ferro battuto, risponderà: "Spostati ché non vedo la partita". 

Siete autorizzate a spaccargli il televisore a schermo ultrapiatto con il tacco a spillo ultra appuntito.

domenica 12 giugno 2016

Elogio dell'uomo IKEA

Ecco. Potrei iniziare una seconda rubrica: dopo le avventure della Bridget Jones nostrana, una raccolta delle tipologie maschili in cui ci imbattiamo più spesso.
Partirò dall'uomo IKEA, un esemplare in evoluzione e che purtroppo non sembra volersi estinguere (questa cosa di vedere i pinguini invia d'estinzione e l'uomo IKEA ancora vivo e vegeto è da petizione).
Mi duole comunicarvi che non è questo:




(All'esemplare di cui sopra potremmo anche perdonare qualche inciampo).
L'uomo IKEA con marchio registrato lo si incontra con preoccupante facilità senza bisogno di particolari appostamenti in stile Natural Geographic. Si mimetizza facilmente in ogni habitat e si ciba di prede varie, senza particolari preferenze. State pure ferme nel vostro cammino, ragazze mie: sarà lui ad approdare a voi.
Ma chi può inserirsi in questa vivace categoria? La specie IKEA è un prodotto di altissima ingegneria maschile. Ne fanno parte gli individui monta e smonta, quelli che piombano nella tua quotidianità con un impeto rivoluzionario che neanche Robespierre; si lanciano in prove d'amore degne di Orlando (in questo caso Furioso più che mai); promettono di cambiarti la vita proprio come l'acquisto della libreria Billy e poi, puntualmente:
a) spariscono, forse assorbiti da una galassia non ancora identificata;
b) cambiano idea e ti chiedono di trasformare il vostro rapporto in una solida amicizia... solida come una mensola con tasselli a muro;
c) sei tu ad averci visto di più: se vi siete sposati è stato solo per farti contenta;
d) "Sono fidanzato... non te l'avevo detto?"

Capiamoci. Ma chi vi ha cercato? Ne capitano a bizzeffe di questi maestri dell'assemblaggio e diventa difficile identificarli nell'immediato. Generalmente dopo qualche mese iniziano a smontare qualche ripiano, poi si portano via tutta la libreria. Tu li guardi e non capisci il bisogno, la fatica di prodigarsi tanto: ma non si può dire dall'inizio come stanno le cose?
Nonostante tutto, è una delle categorie più simpatiche in cui imbattersi. E' capitato a tutte almeno una volta di frignare con le amiche davanti a un margarita: "Ha fatto tutto da solo!". A volte mi chiedo se sia davvero così, o se siamo noi, inguaribili romantiche, a non leggere bene il libretto delle istruzioni nella scatola.
Io, per sicurezza, ho comprato un E-reader, così di librerie non ho più bisogno.
Per affrontare la prossima relazione ben equipaggiate, consiglio a tutte voi l'acquisto di un oggetto forse un tantino drastico ma efficace:

Sul sito IKEA sarà disponibile da settembre in vari colori e materiali. Montiamocela da sole, che è meglio.  
Le jour de gloire est arrivé.

mercoledì 8 giugno 2016

Alla ricerca della seduzione perduta

Ammettiamolo: nell'era di Internet, delle corse giornaliere, delle relazioni virtuali, il nostro cuore si è un po' congelato. La costruzione di una relazione richiede determinazione e costanza e queste non sono più parole d'ordine del nostro quotidiano. Siamo presi da mille impegni e aggiungere ulteriori fatiche ci fa demordere prima di iniziare.
Io mi definisco demodé. Non sono brava nel cucco 2.0, ho difficoltà a vendermi in modo seducente sui Social e trovo le chat un luogo infimo e ambiguo in cui conoscersi. Non vorrei rassegnarmi alle conoscenze online, ma riconosco quanto sia intricato gestire i rapporti nel mondo reale.
Che cosa può fare una donna per attirare l'attenzione di un uomo, senza dover passare per selfie, duck-face e citazioni di autori ignoti su Facebook? Quali vincenti strategie seduttive può tirare fuori?

Perché, parliamoci chiaro, anche la controparte riveste un ruolo importante. Oltre le 3P (Pallone, Playstation e Pistola), i cari maschietti non sembrano dimostrare grande dinamismo nel settore.
Ricordo che qualche anno fa avevo preso una cotta fulminante per un ragazzo che lavorava alla reception di una palestra che frequentavo. Avevo pochi minuti alla settimana per catturare il suo interesse: il tempo di passare il badge all'ingresso e non lo ribeccavo più. Ostinata e tenace come una patella sullo scoglio, decido che sarebbe diventato mio marito di lì a breve (inutile specificare che così non andò!). Ogni giorno che arrivavo in palestra mi inventavo qualcosa per attirare la sua attenzione:
Giorno 1: VAMPIRONA STYLE. Trucco da red carpet, capelli distrattamente spettinati, viso imbronciato, occhi sfuggenti. FAILED.
Giorno 2: LA RAGAZZA DELLA PORTA ACCANTO. Trucco nude, mise semplice, sorriso Durban's e voce squillante. FAILED.
Giorno 3: LA SECCHIONA. Ovvero: apparire maledettamente colta. Entro con un libro tra le mani, fingendo di essere talmente assorta nella lettura da non rendermi conto di essere arrivata in palestra. Scelgo un libro di spessore, non le memorie di Barbara D'Urso. FAILED.
Giorno 4: BAILA MORENA. Varco la soglia della palestra fingendo una conversazione telefonica in spagnolo, sfoderando il mio miglior accento iberico (lo spagnolo, si dice, fa sangue). Nel frattempo spero non squilli in quel momento il cellulare, mandando in fumo la mia performance teatrale. FAILED.

Premiamo la creatività, se non altro. Il Mister in questione non diede prova di interesse, se non nei mesi successivi, quando si era fidanzato con un'altra ma voleva comunque ampliare le sue vedute. La mia risposta? FAILED.

domenica 5 giugno 2016

Bridget, esci da questo corpo: Episodio 1


Inauguriamo oggi una serie di articoli che, purtroppo, si rivelerà lunga, dato il ricco materiale personale da cui posso attingere. Andiamo per gradi.
Che cos'è la saga Bridget, esci da questo corpo? Ho pensato di riunire sotto questo titolo esorcistico una moltitudine di episodi tutt'altro che fashion, ma tutti veri, mio malgrado, in cui la mitica Bridget Jones si è impossessata di me, rendendomi il suo sosia perfetto.
Ovvio: c'è una Bridget Jones più o meno nascosta in ognuna di noi... ma la mia non si vergogna, anzi, esce allo scoperto continuamente, regalandomi delle figure tragicomiche di cui sono, ahimè, la protagonista assoluta. Non so a cosa sia dovuto un simile accanimento: forse in un'altra vita ero la Regina Maria Antonietta e ora il karma mi sta punendo con un contrappasso tutt'altro che regale.
Partirò da un episodio recente, ma che, sono sicura, si verificherà tante altre volte.
Chiosco in spiaggia, notte, inaugurazione della stagione estiva. Vado alla toilette, faccio la fila per entrare e dietro di me lascio diverse ragazze ad aspettare. Posizione tattica anti-sfioramento WC, quadricipiti in tensione: uno squat degno di un lottatore di sumo. La luce si spegne. PANICO. Non posso lasciare la posizione fitness perché rischierei di trasformare il bagno in una scena di Trainspotting. Con una mano tengo i pantaloni e uso l'altra per salutare convulsamente il vuoto, sperando di intercettare il sensore. Caro Claudio Cecchetto, giuro: non sto ballando il tuo Gioca Jouer (se vuoi, ti autorizzo ad aggiungere "SQUATTARE" alle tue indicazioni coreografiche). Niente da fare. Provo a fare dei passetti laterali per creare movimento. Ma a che caspita di altezza l'hanno messo 'sto sensore? Mentre maledico la mia statura tascabile, ecco la luce! Non in senso evangelico, ma mi sento comunque salva. Esco con assoluta nonchalance, passo sicuro e andatura da Kate Moss. Mi scuso con le ragazze in attesa: "Ragazze, la porta si era bloccata. In Italia non funzionano neanche i bagni!", perché scaricare le colpe sul governo assicura sempre immediata solidarietà.
Carla Fracci, ti prego, la prossima volta fai uno sgambetto a Bridget e guidami nel cammino della grazia e della leggiadria.


domenica 15 maggio 2016

L'Indice dei rossetti proibiti

Supermercato ore 17:30. Ignoro beatamente la mia severa lista della spesa (detersivo per i piatti, varechina, pellicola, dentifricio). Fingo addirittura di perderla per fornire un valido alibi alle mie intenzioni criminali e mi dirigo con sicurezza shifferiana verso il reparto makeup, ripetendomi mentalmente "perché io valgo", tanto per creare la giusta atmosfera. Mi impongo di comprare solo quello che mi serve: un mascara (ne ho altri 3 ma hanno funzioni decisamente diverse), un rossetto rosso (gli altri 6 dentro la mia trousse non si avvicinano neanche minimamente al rosso universale che cerco), una matita per sopracciglia (dai, oggi non sei nessuno se non hai il gabbiano Jonathan Livingston disegnato sopra gli occhi!) e uno smalto trasparente (mi serve davvero: l'ultimo che ho acquistato è più secco dell'Attack aperto da due anni). Procedo con ordine metodico, fiera del mio self control. Poi la vedo, testa china e sguardo famelico: è l'Acquirente Ossessivo-Compulsiva. Si tratta di una specie femminile mai estinta, anzi in continua e preoccupante evoluzione. Il suo cestino è stracarico di rossetti, che testa sulla mano con fare esperto. Sposta il dorso verso la luce, osserva, odora. Se il risultato è positivo, sorride compiaciuta; in caso contrario, fa un'espressione corrucciata con gli angoli della bocca all'ingiù e rimette a posto il prodotto deludente, senza dargli una seconda chance. Pochi candidati non passano il provino: il suo cestino straripa.
Con il tempo ho imparato ad assecondare la mia debolezza per la cosmesi assegnandomi un budget mensile da non sforare, un po' come quando vai al Casinò per la prima volta e hai paura di perdere il controllo. Ci saranno 15 rossetti in quel cestino. Che cosa se ne farà? Soprattutto, quante volte li userà?. Con molta probabilità finiranno la loro carriera sepolti in modalità fossile sul fondo di una borsetta.
Questa scenetta da supermercato apparentemente frivola mi ha però scatenato una riflessione ben più seria. Avete mai sentito parlare del Lipstick Index?


Leonard Lauder lo ideò per spiegare l'aumento delle vendite dei rossetti dei brand del marchio Estée Lauder durante la recessione economica dei primi anni 2000. Il grafico permise di rilevare che tali vendite registravano un aumento inversamente proporzionale alla crescita economica. 
Antesignano del Lipstick Index fu l'Hemline Index, misuratore presentato dall'economista George Taylor nel 1926, che sfruttò l'orlo delle gonne come indicatore economico: crisi economica = gonna più lunga; benessere economico = gonna più corta.


Preciso ed efficace con la crisi del '29, oggi è stato decisamente sorpassato dagli indicatori cosmetici. 
La chiave di lettura è chiara: compriamo un prodotto non costosissimo ma gratificante, in grado di farci sentire belle e seducenti anche senza spendere un patrimonio in abiti, scarpe, parrucchieri ed estetiste. Acquistare un rossetto (o più di uno) diventa una sorta di premio all'autostima, necessario all'equilibrio psico-fisico spesso minato dall'andamento altalenante dell'economia nostrana. Una risposta glamour a una picchiata economica che non siamo in grado di domare.
Amica dai 15 rossetti, hai tutto il nostro sostegno. Colorati la giornata di rosso, fucsia e arancio perché a ingrigirtela ci pensa la Borsa... e non è Louis Vuitton.


lunedì 9 maggio 2016

Torta di mele e un vaso pieno di aspettative

Metti cinque donne, single ma non troppo, una sera piovosa di inizio maggio, una tazza di tè e una soffice torta di mele: il salotto di casa si trasforma nell'Internazionale Comunista. Chiacchiere, dibattiti, risate... ognuna ha voglia di raccontarsi e di specchiarsi negli occhi attenti delle altre ascoltatrici. E di cosa potranno mai disquisire cinque donne, single ma non troppo? Sempre loro: maschietti. Un po' croce e un po' delizia (forse più una via crucis ma questo è un altro discorso), protagonisti, senza possibilità di replica, delle chiacchiere femminili, fin dai tempi più remoti (perché lo sappiamo: anche le colleghe primitive non se la passavano bene a ramazzare nelle caverne mentre il Mister di turno si divertiva a inseguire animali nella foresta... La storia si ripete). L'ordine del  giorno di queste riunioni condominiali in rosa è sempre lo stesso: si parte da un rapido aggiornamento sulle new entries, con un focus speciale sui casi più tragicomici capitati nelle ultime settimane; segue un ordinato dibattito analitico sull'individuo in questione (il Fuggitivo, il Miserabile, l'Irrisolto, etc.); si procede poi con la rassegna dei casi simili all'insegna del sempre valido "mal comune, mezzo gaudio"; pausa caffè/tè/vino; infine, si tirano le somme. E qui viene il bello. In bilico tra cinismo e speranza, ognuna dice la sua, sfoderando perle di saggezza che neanche Osho dopo mesi di meditazione a testa in giù su un ramo. "Nessuna pietà, non si meritano nulla", è lo slogan incendiario di una delle partecipanti, "tanto sono tutti uguali, nel senso che sono ugualmente stronzi". "Attenta! La legge di attrazione è sempre in agguato: pensieri negativi attraggono persone negative. La vita ti manderà ciò che chiedi", ribatte un'altra, illuminata sulla via di Damasco in pieno stile The Secret. Poi c'è la soluzione: "Io non chiudo mai la porta in faccia agli uomini con cui ho avuto una relazione di qualche mese, se non ci sono state particolari mancanze di rispetto. Preferisco prendermi un po' di tempo per disintossicarmi e poi riallacciare i rapporti, così da non portarmi dentro un senso di sconfitta". La ascolto, rifletto: ha ragione. Non c'è altro modo per non perdere la fiducia nell'amore se non quello di cogliere il buono da ogni esperienza, anche se ti ha fatto consumare 16 kg di Carte d'Or e ti ha fatto versare lacrime degne di una regina del melodramma napoletano. "Ragazze, bussiamo alle porte del mondo con un vaso carico di aspettative", così conclude un'altra congressista. Mi piace. Tempo due ore e mi sento carica e positiva come una pila Duracell. Non privatevi mai della bellezza di questi incontri only women: scoprirete la parte più giusta di voi.
"Crederci sempre, mollare mai": non è Voltaire: è Simona Ventura, ma rende l'idea.